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ORARIO SS. MESSE

SOLARE
  Feriale:  7.00-17.00
Festivo: 8.00-10.00-11.30
 16.00-18.00
 
  LEGALE
  Feriale: 7.00-18.00
Festivo: 8.00-10.00-11.30
 17.00-19.00

Sembra che niente (o non molto) sia cambiato nel mondo negli ultimi decenni. Eppure abbiamo vissuto una rivoluzione profonda con la globalizzazione , che ha allargato enormemente le prospettive della realtà. Spesso significa che i nostri mondi, le città, divengono periferiche e irrilevanti. Certo, periferie ricche ma irrilevanti.

Mondi vecchi, su cui si abbatte spietata la crisi demografica, trasformandoli in terre di anziani con pochi giovani. L'Umbria novecentesca ha conosciuto l'esodo di migranti e benestanti che andavano a Roma. Ma ora è più profondo: queste terre belle e storiche divengono marginali in un mondo globalizzato . La politica non sa segnare una svolta, per tanti motivi, specie per l'incapacità di creare un "noi" in un tempo di ego conflittivi e smisurati. Sono osservazioni rapide le mie, che potrei sviluppare, ma delineano un dolce e assistito declino del nostro mondo. L'orizzonte drammatico comune è nascosto ormai dall'abnorme sviluppo dei nostri ego. Resta la Chiesa a interrogarsi, quasi sola, come fate in queste assemblee sinodali. Già l'idea stessa mostra fiducia e senso di un limite. Il senso del limite è che da soli non ce la si fa: il vescovo non ce la fa, il clero è scarso, i religiosi e le religiose sono decrescenti e non ce la fanno, così anche i laici. La fiducia è nel "noi" ecclesiale, in cui il mio ego viene ridimensionato: sinodo vuol dire camminare insieme. Da soli non ci si salva: è la convinzione profonda del "noi" ecclesiale scritta in quest'assemblea , in un tempo di declino, in cui prevale il salvare se stessi. Anzi prevale l'idea che il legame con gli altri sia u n vincolo e mi blocca nel cercare i miei interessi.
La Chiesa è un "noi", un legame che mi salva. Mi libera dalla tentazione, presente in tutte le stagioni della storia, tanto che vanno a gridarla perfino sotto la croce di Gesù: "...salva te stesso! Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,46). Invece il Figlio di Dio non salva se stesso, rifiuta l'orgoglio disperato di salvarsi da solo. Il Padre, con la resurrezione, l'ha restituito alla vita. E' il fondamento cristologico della vita ecclesiale, come scrive l'apostolo: "Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi..." (2 Cor 5,15). La Chiesa, nella sua realtà profonda, è un "noi" ed è servizio agli altri. Dice Francesco: "La Parola di Dio ci invita a riconoscere che siamo un popolo".
In questo tempo di declino e di fuga individuale dal declino, la Chiesa ci chiama a essere insieme per servire questo popolo: più o meno centomila persone, tra l'altro in parte colpito dal terremoto. In questo essere insieme c'è una chiamata per tutti -non importa il proprio stato- a uno sguardo nuovo su questa terra e sulla sua gente. La Chiesa dice a ciascuno di noi e ai cristiani di non pensare solo al proprio futuro individuale. Avviene quanto accadde ad
Abramo a cui Dio disse: "Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi io lo darò a te..."(Gen  13,14-15).
Questa è la tua terra, se alzi gli occhi da te con uno sguardo largo. Tutta questa terra è tua,
non in modo  possessivo, ma ne sei in qualche modo responsabile. E' la nostra terra, da guardare con sguardo particolare. Quante volte nella Bibbia il Signore invita ad alzare lo sguardo da sé, dal piccolo, dal proprio, dal chiuso. Abbiamo ascoltato la scorsa domenica il Vangelo della samaritana, quando Gesù dice ai discepoli, perduti in discussioni inutili, che non si accorgono della gente che esce dalla città di Sicar e va verso di lui: "levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura " (Gv 4, 35). Loro non si accorgono della gente che cerca Gesù. Capita anche a noi magari, mentre ci lamentiamo che la gente non viene in chiesa o non si vuole impegnare...
Tutto nasce dallo sguardo con cui si guarda la gente. Come cambiare lo sguardo abituale con cui guardiamo la gente e la terra? E' necessario un esodo da se stessi, dal modo abituale con cui, per anni, ho considerato gli altri, magari credendo di conoscerli. E' u n esodo da sé anche per le comunità e le parrocchie, magari appagate nel fornire servizi o di essere un ristretto gruppo di persone. Tanto -nelle nostre terre- si sa che i cristiani sono quelli lì e da sempre. Oppure basta fornire i nostri corsi di catechesi per l'iniziazione ai sacramenti, senza chiederci perché non scaldano il cuore o perché i giovani non tornano più. Talvolta mi chiedo quale sia la portata dell'immensa costruzione della nostra catechesi, quando non si tocca il cuore, non si fa esperienza di Dio e dei poveri.
Come cambiare lo sguardo abituale con cui guardiamo la gente sulla nostra terra ? Questa tappa del cammino sinodale è segnata dall'invito alla Chiesa di Spoleto come fu quello alla Chiesa di Laodicea da parte dell'angelo: compra dal Signore un "collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista" (Apoc 3,18). Molto spesso siamo ciechi: non vediamo gli altri e la realtà . Comprare, non ricevere (dice l'angelo): significa che ha u n prezzo questo collirio per recuperare la vista.
.Innanzi tutto -dice il papa- bisogna uscire dai propri ambienti e da se stessi. Talvolta restarci chiusi vuol dire farsi cadere il tetto in testa . La tua terra di sempre ti apparirà diversa , se ti accorgi della miopia congenita con cui l'hai sempre guardata. La vita della Chiesa, l'ascolto della Parola di Dio, curano la vista: non sono un'autoconsolazione. Il cieco che incontra Gesù comincia a vedere gli uomini, anche se egli sembrano alberi che camminano.
Il primo passo della vostra assemblea è la compassione. Siamo gente difficile alla compassione. Il collirio della  compassione  cambia  lo sguardo. Mi ha  sempre colpito che la  missione  dei
dodici nel Vangelo di Matteo sia preceduta da u n quadro che insiste sulla compassione di Gesù: "vedendo le folle ne sentì compassione, perché era stanche se sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Da qui nasce la preghiera per gli operai della messe, cui il vostro vescovo di esorta sempre, ma che già trova risposta in questa assemblea.  Gesù  guarda  con compassione le folle,  massa di  gente che non conosce. La compassione viene prima della conoscenza: è un modo nuovo di conoscere gli altri. Così si scopre che la gente, magari che già conosco, è stanca e sfinita: non sa dove andare.
La compassione fa fermare prima di tutto accanto a chi è ferito dalla vita. Un uomo mezzo morto lungo la via non provoca la stessa reazione in tutti, come si vede nella parabola del buon samaritano. C'è chi va avanti, pur vedendolo: il sacerdote e il levita. Han no il loro piano personale (forse un piano pastorale?): non si fermano. Il samaritano "lo vide e n'ebbe compassione" (Le 10,34). Lo sguardo compassionevole genera una creatività che lo spinge a prendersi cura, a trovare collaborazione nell'albergatore, a impegnarsi a tornare.
I poveri ci insegnano uno sguardo di compassione. Tante volte non sappiamo amare. Abbiamo sempre tirato dritto. Abbiamo timore. Che fare? Il povero va incontrato personalmente. Non si tratta subito di Caritas o di altre realtà. Il nostro mondo è pieno di poveri, ma non li vediamo. Non è un caso che il Vangelo prescelto per questa sessione sia la parabola di Matteo 25, 34-40. Dice Gesù: "ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete..., ero straniero..., nudo..., malato ...in carcere". E conclude: "tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Mai, nel Vangelo, Gesù si riconosce in qualcuno con tanto realismo. Avere commozione per un povero è trova re Gesù. Chi invece non vede il povero, non vede Gesù che gli è vicino.
Il Vangelo di Matteo mostra come il povero non sia un assistito o un cliente della Chiesa o dei servizi. Dobbiamo avere il coraggio di metterlo al centro della Chiesa, della vita personale. Perché il povero è il sacramento della presenza di Gesù, se ben leggo il Vangelo. Insegna Giovanni Crisostomo .... Chi aiuta un povero è aiutato da lui: impara a vivere in modo umano. Si crede di dare, ma si riceve. Il servizio ai poveri è u n'esperienza spirituale: il vero collirio che insegna la compassione.
Chi frequenta i poveri impara a guardare al proprio ambiente e al mondo con lo sguardo di Gesù. Apprezzo molto l'espressione simpatia, che definisce i rapporti tra la Chiesa e il mondo. E' anch'esso un collirio da acquista re che apre gli occhi, specie dopo che si comincia a vivere la commozione per i più poveri.
Per descrivere la prima comunità di Gerusalemme, gli Atti usano la parola greca "karis". La comunità godeva il favore di tutto il popolo: altri traducono la simpatia . La simpatia è
essenziale per definire la Chiesa del Concilio in rapporto al mondo. Paolo VI, chiudendo il Concilio, disse: "La Chiesa del Concilio si è assai occupata... dell'uomo quale oggi si presenta: l'uomo vivo, l'uomo tutto occupato di sé... L'antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso ".
E' stato il superamento dell'antipatia  (è un  rischio delle minoranza  che credono di possedere la verità e di giudicare in nome di essa il mondo): la Chiesa, per essere maestra, è diventata arcigna e antipatica. Noi rischiamo di essere antipatici con gli anni e le delusioni. I cristiani antipatici non sono abitati dalla gioia del Vangelo. Giovanni XXIII, che è aperto ii Concilio, ha rappresentato la simpatia della Chiesa, dopo che era stata troppo difensiva. Paolo VI, che ha chiuso il Concilio, ha espresso la simpatia nel senso del "soffrire con": una Chiesa capace di partecipa re alle gioie e alle angosce del mondo.
Le nostre comunità sono chiamate a un volto simpatico: è il dono di Francesco alla Chiesa. La simpatia è capacità di entrare in sintonia con la gente, che  poi  richiede  nel  tempo partecipazione e attenzione. E' guardare in modo nuovo e partecipe la gente che si conosce e si è già classificata nei giudizi da anni. Una Chiesa simpatica non è volubile ma impegnata. Si sente di tutti, non minoranza di puri e duri, antipatica perché autosufficiente e non bisognosa degli altri. Una Chiesa  simpatica ravviva la speranza in una terra segnata dal declino, dal declinismo, la mentalità per cui non c'è futuro insieme.
E' vero: ci sono dati oggettivi, come il problema demografico. Ma anche qui, l'arrivo di rifugiati e migranti rappresenta un aiuto per una regione meno vecchia. Ma sono stranieri, talvolta musulmani ... Alcuni paesi europei chiudono, alzano i. muri, come l'Ungheria, per difendere l'identità cristiana e la sovranità. I popoli, chiudendo agli altri, si rinchiudono . La simpatia guida all'integrazione, un processo  complesso ma possibile. Ogni integrazione - diceva Umberto Eco- è una negoziazione. E' però un passaggio storico in cui i cristiani devono esserci e fanno la differenza: non solo accogliere, ma integrare. Avveniva in queste terre ai tempi di Gregorio Magno, di fronte a popoli nuovi  che scendevano dal Nord. Integrare, guardare con simpatia, comunicare la fede.
In questa terra del declino, ci sono molti anziani. La società volta loro la faccia. L'anziano non è attraente. Ognuno di noi, che giovane non è, cerca di essere giovanile. Anche la Chiesa rischia di non vivere la simpatia per gli anziani, mentre essi sono -nonostante gli anni- una grande forza di gratuità e umanità. Danno stabilità ai giovani e ai bambini talvolta più degli adulti e di adulti scombinati. Un popolo, come il nostro, non può respingere una sua porzione. La simpatia per gli anziani apre a capire il dono e l'utilità della loro presenza.
Il terzo gradino per una donna e un uomo, che hanno fatto esperienza di  commozione personale verso i poveri e gli altri, che vivono in comunità simpatiche o le orientano nella corrente di simpatia, è la misericordia: un collirio da acquistare dal  Signore, che ha  detto "siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso " (Le 6,36). Nel testo dell'assemblea viene citata l'Evangelii Gaudium: "Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisca rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra  coscienza è che ta n ti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita".
Vivere queste parole del papa vuol dire sentirsi Chiesa responsabile di un popolo in questa terra, in città e villaggi. Il collirio della misericordia ci fa vedere una folla lontana , svuotata, riempita di beni e obbiettivi che non valgono, estranea alla fede: pecore senza pastore, donne e uomini spaesati e sbandati. Il mondo della globalizzazione dà l'illusione di essere in rete e al centro, ma spesso disorienta, concentra su di sé.
Vivere la misericordia è comunicare il Vangelo e rendere la nostra terra una realtà a misura umana. Ma come? Ci sono pochi preti, pochi religiosi e religiose. Voi avete la grazia di non avere una grande diocesi che può illudere, per cui c'è sempre qualcun altro che sembra prenda la responsabilità. In assemblea, ci si guarda in faccia: siamo noi, qualcun altro, ma noi! Spesso però si è ancora gelosi degli altri o sfiduciati. Noi, troppo a lungo, siamo stati la Chiesa dei settanta, per citare il gruppo di anziani che Mosè riunì attorno a sé, sospettosa verso Eldad e Medad che profetizzavano fuori dal campo. "Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!" (Num 11,29): questo non è solo il sogno di Mosè o del vescovo, ma dev'essere di ciascun parroco e di ciascun cristiano.
Profeta, nel Nuovo Testamento, è chi comunica fede e misericordia. Questo è il tempo in cui bisogna essere profeti fuori dal campo, dai nostri circuiti, laddove c'è bisogno di misericordia. La nostra esperienza è che non ci si salva da soli: l'assemblea sta a dirlo con decisione! Ogni cristiano testimonia agli altri che non ci si salva da soli. Siamo in un tempo di grande trasformazione: le persone e le istituzioni che erano l'ossatura della Chiesa su queste terre si sono ridotte. Molti hanno previsto la fine della Chiesa. Eppure c'è tanta sete di parole misericordiose sulla vita. Gente che chiede sulla fede, di essere aiutata a pregare. L'attenzione attorno a Francesco mostra la sete di fede e misericordia. C'è anche entusiasmo nella Chiesa e tra noi. Il grande problema oggi è rispondere alla sete e alla fame di Dio. Gesù dice ai suoi che si lamentano della scarsezza di mezzi e cibo: "Date voi stessi da mangia re". Ci guardiamo in
faccia, abbiamo fede, sentiamo la domanda di misericordia della folla: siamo noi che dobbiamo cominciare a rispondere. Poi il circuito della misericordia crescerà.
Per anni abbiamo parlato di evangelizzazione. A  molti  sembrava  difficile.  Perché  abbiamo dato un contenuto dottrinale, quasi formule da comunica re a cuori chiusi e distratti. Chi sa aiutare un povero, sa evangelizza re. Chi vive la simpatia è un evangelizzatore. Perché evangelizzare non è far lezioni o prediche. Troppe ne sono state fatte e, alla fine, niente è cambiato. Prima di tutto bisogna essere gente che sa essere amica degli altri. Gesù ci chiede di amare i nemici: ebbene che dire di quanti ci sono indifferenti o sono lontani? La vera profezia è quella di donne e uomini cristiani amici della gente, dell'uno e dell'altro. Amico è parola decisiva per i cristiani, tanto che la liturgia d'Oriente canta Dio come l'amico dell'uomo.
Un popolo di amici degli altri trasmette la misericordia del Vangelo, suscita la fede, aiuta a trovare un senso. L'amicizia è il linguaggio misericordioso di una comunità simpatica: il linguaggio misericordioso del Vangelo che si comunica. Tutti sono capaci di  essere amici, interessati e attenti all'altro. La  Chiesa, attraverso un  popolo di amici, è una  rete che libera dal senso di declino e dalla disperazione. Salvarsi da soli porta davvero  alla  disperazione. Perché da soli non ci si salva, ma alla fine ci si sente perduti.
Che ciascuno possa avere un cristiano con amico. I due di Emmaus se ne tornavano a casa delusi. Gesù camminava con loro, parlava come amico. Si fermò con loro e li aiutò a pregare. Tanto che loro dissero: "Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno sta per finire!". Sembra che in questa terra il giorno stia per finire, che scenda una lunga sera. Ma la Chiesa, amica degli uomini e dei poveri, vede un giorno nuovo. Aiuta la gente di questa terra a chiedere e pregare: "Resta con noi, Signore". Se siamo amici degli uomini e delle donne di questa terra, amici dei poveri, possiamo cambiare o migliorare la vita di questa terra: per dirla con i Salmi, possiamo svegliare l'aurora sulle città e i villaggi, nella vita di gente spenta o occupata solo di se. E avere la gioia di dire con loro: "Resta con noi, Signore".

Andrea Riccardi

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