Uno dei punti di partenza dell’itinerario spirituale, proposto da san Paolo della Croce, è la presa di coscienza del NULLA, che è l’uomo, e del TUTTO, che è Dio. Può sembrare una constatazione ovvia, ma per il santo è “un’altissima verità”(L, I,257,488), tanto da farne un punto fermo del suo insegnamento e ricordarlo continuamente nelle sue lettere di direzione spirituale. Secondo il santo, da qui bisogna partire per fare un serio cammino di santità. Vorrei notare che non è una verità facile da esporre, facile da capire e facile da accettare. È una verità di alta mistica, che solo anime che volano alto possono capire.

 

Scriveva san Paolo della Croce: “Per essere santo, ci vuole una N e una T. La N sei tu, che sei un orribile NULLA; la T è Dio, che è l’infinito TUTTO”(L, III, 747). E affermava che il “rimirare il proprio orribile nulla è la via più corta alla vera unione con Dio e alla santità” (L,I,257).

Il santo parlando della creatura come di un “Nulla”, non fa una speculazione filosofica, ma parte dalla fede, dal rapporto Creatore-creatura, visto alla luce della fede. In questa luce, il Creatore è veramente il Tutto, perché è l’origine di tutto; la creatura è il niente, perché niente sarebbe senza di Lui. Anzi, poiché la creatura umana è coinvolta nel peccato, “è peggio dello stesso niente” perché il peccato “è peggio del nulla, è un orribile nulla“.

Questa non è una visione pessimistica dell’esistenza, né disprezzo della creatura. È semplicemente una visione realistica, anzi una visione eminentemente biblica. La Bibbia parla continuamente della povertà, fragilità, impotenza e finitezza dell’uomo e della sua assoluta dipendenza dal Creatore per esistere e per rimanere nell’esistenza. Siamo nulla; se siamo qualcosa, lo dobbiamo solo a Dio. “Che cosa è l’uomo perché ti ricordi di Lui?”, dice il salmo (8,5).

Per questo san Paolo della Croce raccomanda di sprofondarsi sempre più nella cognizione del proprio nulla e “convincersi di niente essere, niente avere, niente potere, niente sapere”. Bisogna avere due sguardi di fede: uno all’immensa grandezza di Dio, l’altro al nostro nulla.

Occorre l’umiltà del cuore, quale virtù fondamentale dell’edificio spirituale, perché, scriveva ad Agnese Grazi, un granello di superbia basta a rovinare una grande montagna di santità(LL I-II 1289). Della cognizione del proprio nulla e del vero tutto di Dio, bisogna fare “lo studio primario della propria vita, ripete spesso nelle sue lettere (I, 258, 238…).

Di questa nullità e indegnità dell’uomo, S. Paolo della Croce aveva una coscienza e convinzione profonda, prima di tutto di se stesso. Nel diario e nelle lettere troviamo numerose espressioni pittoresche su se stesso, quasi irripetibili, basti dire che si riteneva degno solo di stare sotto i piedi del demonio. Egli cercava di inculcare questa profonda conoscenza di se stesso a tutti i suoi discepoli, religiosi e laici.

Chiama “nobile, divino esercizio” lo studio della cognizione di se stesso, l’accettazione della propria nullità e indegnità, anche se è un lavoro faticoso e indigesto per l’orgoglio della creatura umana. Il santo ne era consapevole e diceva con chiarezza che questo linguaggio non è comprensibile a tutti. È proprio delle anime grandi che tendono a una forte vita interiore. Questo “nobile e divino esercizio” va fatto “in pura e nuda fede e santo amore” (I p. 488), in vera contemplazione di Dio Tutto, un Padre pieno di amore e di misericordia verso le sue creature.

Immerso in Dio

Questa “altissima verità” del proprio nulla non deve rimanere solo teorica, ma deve portare ad accettare serenamente la radicale cognizione di creatura povera e peccatrice.

Solo alla luce di questa fede, la visione della condizione umana non porta alla sfiducia, all’inerzia, ma spinge all’abbandono e fiducia in Dio.

Più saremo umili, più cambierà il nostro atteggiamento verso Dio e verso il prossimo; acquisteremo piena fiducia in Dio e anche coraggio nella vita: “Miri il suo niente e non si fidi di sé, ma si fidi di Dio e confidi in Dio… Seguiti a stare spogliata di tutto, ad abissarsi in Dio in pura fede, ed incenerirsi tutta nel Cuor di Gesù, ove arde il fuoco del S. Amore” (LL I-II p. 1633).

San Paolo della Croce ebbe tanto coraggio nel portare avanti la sua grande missione, senza appoggi e mezzi umani, basandosi proprio sulla convinzione del proprio nulla e della grandezza, onnipotenza e amore infinito di Dio che gli affidava quella missione.

Diceva anche che il Tutto attrae a sé il Nulla, con la forza soavissima del suo amore. Noi dobbiamo essere come una goccia d’acqua che brama di perdersi nella immensità del mare: il nulla si tuffa nell’immenso mare dell’infinito Tutto e si inabissa in esso.

Come “la farfalletta”, che si fa attirare dalla luce e dal calore della fiamma e si lascia bruciare da essa. L’anima che si perde in Dio si realizza pienamente, perviene all’intima unione con Dio e nel divino abbraccio rinasce a vita nuova.

Per rendere più efficace la sua esortazione, il santo ricorda che l’altezza del volo verso Dio è proporzionata alla profondità dell’abissarsi nel proprio niente: “Sappia che quanto più andrà nel profondo del proprio nulla, tanto più crescerà nell’altissimo volo in Dio” (L V, 183).

Nel suo Diario, il santo confida che il Signore nel ritiro del Castellazzo gli aveva fatto capire: (Diario, 30 novembre).

Perdersi per ritrovarsi

Tipico paradosso dei mistici, per cui “perdersi” in Dio, significa “ritrovarsi”, “divinizzarsi”, senza perdere la propria unicità e personalità. “Ritrovarsi in Dio” significa per l’anima ritrovare la sua “origine”, il suo “centro”, la sua “sorgente”, la sua natura di “figlia di Dio”, perché “Sua Divina Maestà in un divino abbraccio la unisce totalmente a sé per amore” (L V, 182). La parola “abbraccio” indica tutto l’amore tenerissimo di Dio Padre per l’anima.

Essere innalzata “nel seno del Padre”, significa soprattutto pervenire all’intima unione con Dio, che è l’aspirazione più profonda dell’anima rigenerata nel battesimo.  Avviene allora la duplice nascita di Dio nell’anima e dell’anima in Dio. Questa profonda intimità con Dio è l’aspetto positivo della cognizione e accettazione del proprio nulla, è la vetta del cammino spirituale di san Paolo della Croce, perché fa sgorgare dal cuore una illimitata, dolce e filiale fiducia nel Dio Tutto.

È come una vitale esigenza dalla creatura nulla a sentirsi attratta irresistibilmente dal divino Tutto, per diventare una cosa sola con Lui, fino ad essere divinizzata. Immersa in Dio, la creatura scopre la sua grandezza di figlia di Dio, fatta partecipe della stessa vita divina.

Siamo alle vette più alte dell’unione con Dio ed è difficile per noi inoltrarci oltre, in un cammino attraente, ma sempre misterioso.

Vorrei però precisare una cosa. Questo punto di “arrivo”, deve diventare un punto di “partenza” per un cammino nuovo, un cammino diverso, con una forza nuova, sotto la guida diretta di Dio, lo sguardo fisso verso la meta luminosa, oramai intravista e chiara: l’intima unione con Dio.

A questo punto conosciamo il nostro nulla, la nostra “pochezza”, ma abbiamo conosciuto anche la grandezza di Dio, che è nostro Padre, il suo amore infinito per noi, l’impegno con cui Egli vuole prendere le redini del nostro cammino, se gli apriamo la porta e lo lasciamo operare liberamente, senza fare resistenze. Gli insegnamenti di Paolo devono aprire la nostra mente e il cuore alla conoscenza del nostro nulla e a una grande diffidenza di noi stessi, ma poi a una grande fiducia in Dio, a un grande amore per Lui, a un desiderio ardente di diventare una cosa sola con Lui.

Per concludere, s. Paolo della Croce rivolge anche a noi quanto scrive a Lucia Burlini: “Per fare più alti voli nel seno del Padre celeste, vi aiuterà quella sovrana Regina che voi vi avete presa per dolcissima madre e che essa vi ha accettata per figlia carissima” (LL I-I 278). Maria ha lodato il Signore “perché ha guardato l’umiltà della sua serva”, ma poi aggiunge: “grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1, 46-49). La parola greca, “tapeinosis” tradotta in italiano con “umiltà”, dice molto di più. Da “tapeinosis” deriva la parola italiana “tapino”, cioè meschino, insignificante. È il “nulla” di Paolo della Croce. Ma un nulla che porta Maria a ricevere da Dio “grandi cose”: a essere la piena di Grazia, la Madre di Dio. La Madonna ci aiuti a riconoscere il nostro essere “Nulla”, ma ci spinga a tuffarci continuamente nel divino “Tutto”, per diventare una cosa sola con Lui.

Rifletti

  1. Chi è Dio per te? Che reazione provi nel considerare il tuo Nulla di fronte al Divino Tutto? Paura?

Oppure: Fiducia fil iale, amore, abbandono?

  1. Come coltivi l’unione con Dio? Che cosa ti aiuta di più per arrivare a questa unione?
  2. Che cos’è per te l?umiltà? La consideri davvero virtù fondamentale dell’edificio spirituale?
  3. Che ruolo vi ha Maria Santissima?

P. Alberto Pierangioli